Strutturare la Brand Identity attraverso logo, sito, pubblicità è doveroso. Ma poi? Mica finisce qui. Occorre considerare quella che io definisco Brand Identity offline, caratterizzata dallo spazio fisico commerciale e dal personale che vi lavora.
In questo post mi focalizzerò sul secondo aspetto. Te ne parlerò raccontandoti la mia dis-avventura al MediaWorld di Cinisello Balsamo.
Lo farò, riferendomi anche a un concetto troppo spesso scambiato per Brand Identity: la Brand Image. Le differenze? Sostanziali. Vedile come due facce della stessa medaglia, dove la medaglia è proprio il tuo brand. Ecco:
– la Brand Identity è come tu vuoi presentare la tua azienda.
– la Brand Image è come essa viene effettivamente percepita dalle persone: è appunto l’immagine che se ne fanno.
Nel corso del post ti illustrerò gli aspetti di entrambe e ti spiegherò perché è così fondamentale che esse combacino alla perfezione. Tutto pronto? Si parte!
Attenzione:
quello che segue è il racconto di una storia vera. Ogni riferimento a brand esistenti o a fatti realmente accaduti è da intendersi puramente voluto e non casuale. Buona lettura.
C’era una volta un brand con disturbi dell’identità: principe di giorno, orco di notte.
Era luglio, ovviamente faceva caldo.
Ma ero felice: mi stavo recando da MediaWorld per ritirare un estrattore di frutta ordinato sul sito.
Ero felice perché di lì a poco mi attendevano succhi, sorbetti e gelati super naturali. Insomma, l’estate stava per prendere tutto un altro sapore, è proprio il caso di dirlo.
Ma quello che ancora non sapevo, è che prima avrei dovuto assaggiare un bel po’ di amaro.
Ecco per filo e per segno come sono andati i fatti.
Chiusa la porta di casa e scese le scale del mio palazzo, percorro la strada verso la macchina. Entrato, parto spedito direzione MediaWorld di Cinisello Balsamo – abito a Milano, ma per vari motivi ho optato proprio per questo fuori città.
Tempo un quarto d’ora e arrivo in negozio. Mi dirigo subito al Centro Ritiri. Riferisco a un addetto che sono lì per ritirare un estrattore Panasonic, prenotato online e da pagare sul posto.
Lui non fa una piega: mi chiede il codice di ritiro e un documento di riconoscimento. Compila la ricevuta, la stampa e la incolla sulla confezione del prodotto.
Pensavo di aver finito. Invece è in quel momento che inizia la mia odissea comunicativa con lo staff MediaWorld.
Dunque, questo ragazzo sistema l’estrattore da una parte e mi dice di mettermi in fila per pagare. Lo vedo che parlotta con un’altra collega e se ne va. Non prima di dire queste parole guardando il pavimento:
“Ciao grazie, buona giornata”.
Io, per non apparire scortese, lo saluto e lo ringrazio. Ma credimi, ho la netta sensazione che non stesse dicendo a me. Grave in ogni caso:
– se ti riferisci alla tua collega è grave, perché vuol dire che te ne sei andato senza salutarmi.
– se ti riferisci a me è grave, perché quando si parla ci si guarda in faccia, magari facendo un sorriso. Questo, a maggior ragione se il rapporto è negoziante – cliente.
Ecco: il saluto al cliente è FO – NDA – ME – NTA – LE. Sia quando arriva in negozio, sia quando se ne va. In entrambi i casi lo si guarda negli occhi, gli si sorride e gli si rivolgono delle parole di benvenuto/arrivederci. La prima sensazione che deve provare quando varca la soglia del negozio deve essere positiva, così come l’ultima quando varca la soglia dell’uscita. Ne parlo bene sia qui che qui.
Lo staff è la rappresentazione fisica ed umana del brand.
Bene, a questo proposito ho la seguente convinzione: in MediaWorld non insegnano al personale le prassi comunicative, almeno basilari, da tenere con i clienti. Lo dico perché ho notato uno staff di medio-basso livello in molti store della catena commerciale.
(Occhio, non voglio generalizzare, sto dicendo che a livello complessivo questa è la situazione.)
E questo è un gran bel problema, perché lo staff è la personalizzazione in carne e ossa del brand.
Quindi, se il personale lavora bene, enfatizza in maniera positiva i valori e l’immagine del brand.
Se lavora male, li incrina fortemente: il cliente si crea una Brand Image confusa e delusa dell’azienda, a causa del disallineamento comunicativo tra Brand Identity (logo, sito, pubblicità) e Brand Identity offline (locale commerciale e staff interno). Te la faccio terra-terra: il cliente è deluso e confuso, perché alle parole non seguono i fatti.
Non ci credi? Guarda questo skatch di Maccio Capatonda:
Non rappresenta in modo lampante quanto abbiamo detto fin qui??
Analizziamo il video tenendo conto della mia esperienza con MediaWorld:
FASE PRE-SHOCK
Il Maccio tranquillo e a modo rappresenta il brand che si presenta bene grazie a una comunicazione studiata e realizzata da altri per lui:
– Nel caso di Maccio, parlano per lui gli abiti.
– Nel caso di MediaWorld, parla per lei il sito e la comunicazione ufficiale: gli esperti della comunicazione (web designer, copywriter, grafici ecc) hanno creato la comunicazione.
FASE SHOCK
Il Maccio che fa uscire la sua vera personalità nella seconda parte, rappresenta lo staff del brand: impreparato e incapace di rappresentare l’identità del brand veicolata dai canali comunicativi ufficiali:
– Maccio apre bocca e le da fiato, come si dice a Roma. Nel momento in cui a parlare non sono le sovrastrutture comunicative (abiti e postura) ma la persona stessa, ecco che la verità salta fuori: l’identità e la personalità del candidato non corrispondono a come loro sono state comunicate (dagli abiti e dalla postura)
– Nel caso di MediaWorld, il problema si pone nel momento in cui la comunicazione avviene per mezzo di persone reali, lo staff, in un ambiente fisico reale, il negozio. Gli esperti di comunicazione non ci sono più. Le persone non hanno a che fare con i testi del sito e con il comodo menù di navigazione. Neanche con gli slogan pubblicitari recitati da voci simpatiche e trascinanti.
FASE POST-SHOCK
Il selezionatore che rimane sconcertato senza parole, altro non è che il cliente che si sente tradito: l’esperienza piacevole di acquisto e navigazione sullo store online, non lo è altrettanto nello store fisico:
– Nel video, il selezionatore rimane letteralmente shockato: bocca aperta, occhi sgranati. Ma soprattutto, si tira fisicamente indietro come per scappare e apre le braccia come a dover gestire una reazione grossa e inaspettata.
– Nello store MediaWorld, il cliente vive la stessa situazione: non si aspetta di vivere un’esperienza così diametralmente opposta rispetto a ciò che avviene sul sito. Un contrasto netto e immediato che crea frustrazione.
E’ a questo punto che le recensioni online vanno in soccorso del cliente deluso: sono l’unico modo per far sentire la propria delusione e raccontare la verità. Quella di un’azienda che non mantiene le promesse e fatica a far indossare la stessa maschera a dipendenti non formati a dovere.
Torniamo al racconto ed entriamo nel vivo.
La Brand Identity offline di Apple: come veicolare valori e personalità di marca in maniera coerente
Il tizio scortese va via. Mi metto in fila, ottimista e sereno. Ma anche ingenuo: non avevo ancora capito che in quel reparto erano tutti come lui. Poi ho iniziato a farci caso: man mano che i minuti passavano, li ascoltavo, li vedevo, li studiavo uno a uno. L’idea che trasmettevano?
Menefreghismo:
fare il minimo indispensabile per gestire e liquidare le pratiche dei clienti, con annessi incertezze, errori e rallentamenti. Fino ad aspettare il minuto esatto in cui scade il turno di lavoro per poter andare via tanto velocemente quanto silenziosamente.
E’ ciò che ha fatto un’addetta davanti agli occhi di tutti. Cosa era accaduto qualche minuto prima: il ragazzo arriva con questo Samsung Galaxy S10e, lo doveva solamente pagare. Troppo facile.
L’addetta inizia a chiedergli un sacco di cose tecniche sulle modalità di acquisto che lui non sapeva. Cose che dovevano conoscere gli addetti stessi, infatti tra di loro si sono poi parlati e hanno risolto.
A un certo punto l’addetta – tra una chiacchierata e l’altra con i colleghi – se ne esce e fa:
“Ahhh io fra 7 minuti ho finito!!!” aggiungendo altri particolari sulla prossima dipartita che non ricordo.
Ora, cara MediaWorld, dico a lei: ma le sembra normale che un suo stipendiato, davanti ai clienti, festeggi il fatto che a breve finirà il suo turno di lavoro? Con tanto di urla e braccia alzate in segno di vittoria? Che immagine pensi trasmetta a chi vede questa scena?
Ultima domandina: secondo lei, come mai Apple nei suo Stores ha questi ragazzi così disponibili, belli, sorridenti e comunicativi? Che ti salutano guardandoti negli occhi con tanto di sorriso sia quando entri sia quando esci?
Per rispecchiare l’identità del brand Apple. La bellezza dell’esperienza che si vive sul sito Apple deve essere la medesima che si vive negli Apple Store. Deve essere confermata. E in effetti lo è.
Riguardo a MediaWorld, la diagnosi è la seguente: soffre di bipolarismo acuto. In poche parole, la sua Brand Identity racconta di un brand, la sua Brand Identity offline ne svela uno diverso, opposto.
D’altronde “Non si può non comunicare”, recita il primo assioma della comunicazione (Paul Watzwlawick).
Nota bene: assioma vuol dire principio che non deve essere dimostrato poiché è evidente di per sé. Tradotto: è così, punto.
Quindi, per quanto riguarda il suo caso: MediaWorld comunica sempre e ovunque, anche quando il lavoro dei comunicatori è finito e inizia quello del suo staff nei negozi.
Loro sono convinti di essere venditori/assistenti ma, in realtà, sopra ogni cosa, sono comunicatori: qualsiasi attività loro facciano, comunica sempre qualcosa riguardo all’azienda per cui lavorano.
Una Brand Identity non coerente genera nel cliente una Brand Image confusa.
La pratica del Samsung non era ancora stata finita. Questo benedetto telefono stava ancora li e a un certo punto l’addetta dei famosi 7 minuti se ne va. L’ho vista dileguarsi silenziosamente senza dire niente ai clienti che stava gestendo, senza salutare.
Soprattutto senza tranquillizzarli del fatto che avrebbe istruito un’altra collega sul punto in cui era rimasta e sul come concludere la pratica.
I clienti si sono guardati cercando di spiegarsi se veramente la ragazza fosse sparita così. Si. Nel frattempo arriva un’altra ragazza, che ho ricostruito essere la sostituta del tizio che invece ha gestito me.
Io, ingenuo che non sono altro e stanco dell’attesa, sono sicuro e penso: “Ora chiama me”. Che fa invece?
Chiama uno arrivato qualche istante prima, molto tempo dopo che fossi arrivato io. Sono innervosito. Già da tempo ho perso le speranze nei confronti dei furbi, quindi non chiedo al signore di far presente lui stesso che sarebbe stato il mio turno.
Mentre ciò avveniva, facevo tuttavia notare alla ragazza che io stavo in fila da molto tempo per pagare. Tuttavia lei mi ascoltava con una superficialità incredibile: mi dava l’idea che stesse ascoltando lo scemo del villaggio.
Tengo la calma. Il furbo ha finalmente pagato e anche oggi zitto zitto ha fregato il prossimo. Bravo! La ragazza mi guarda, io le ripeto che devo pagare un prodotto prenotato online e che mi ha gestito un suo collega. Lei, come a non volermi credere mi fa: “E dov’è??”.
E io: “Non c’è più ha salutato e se n’è andato”. Lei mi fa: “Ok documenti e numero di ordine”. Io: “Ho già fatto tutto con il tuo collega, mi ha detto di mettermi in fila qui per pagare”. E lei: “Si ma io non vedo niente, quindi mi servono documenti e numero di ordine”. Io “Ma mi state prendendo in giro?? Vi ho già dato tutto. Va bene…e ridò i documenti richiesti”.
Intanto le indico quello che pensavo essere il mio prodotto perché era praticamente uguale dalla confezione. Ma non c’era la fattura attaccata. Alla fine la tizia mi dice, indicandomi sotto le sue gambe sotto il bancone: “Ahh eccolo sta qua!!! Non lo vedevo. Per quello ti dicevo che non vedevo nulla, quello che mi hai indicato tu non aveva la fattura”.
Ora dico, abbi pazienza: ma dovevo essere io a dirti dove il tuo collega ha messo il mio estrattore? Io in caso una mano te la do pure, ci provo, ma non devo essere io il tuo referente. Sei tu che devi saperlo, in base a ciò che il collega ti ha detto prima di andare.
Ma ero troppo nervoso per rispondere. Ho preferito andare via ringraziando, guardandola dritta negli occhi e sorridendo. In pratica quello che avrebbero dovuto far loro. Lei e tutti gli altri, invece, nessun saluto particolare nei miei confronti. Si vede che erano davvero tristi per la mia partenza. Tranquilli ragazzi, non vi darò mai più questo dispiacere.
Come dice Chef Cannavacciuolo, “Addios!”
Conclusioni – Brand Identity offline: due modi per correggerla al volo.
Lo avrai capito da te, ci vuole rispetto per il cliente. Avere due facce e due comportamenti non funziona. Il tuo logo, la tua insegna, le tue pubblicità, il tuo sito, i tuoi social, il tuo locale e, come abbiamo visto in questo caso specifico, il tuo staff, devono tutti rappresentare il tuo universo di valori .
Vedo spesso, invece, piccole attività il cui personale non c’entra nulla con loro: lo si evince perché lavora in modo svogliato, si approccia con il cliente in modo svogliato, come stesse facendo quel lavoro sotto imposizione dall’alto.
In questi casi lo staff non si riconosce parte del progetto o è il progetto che non rende partecipe il proprio staff. Ovviamente i motivi possono essere tanti. Ma non deve succedere.
MediaWorld è un gigante e possiede potenti mezzi di marketing per nascondere le crepe di uno staff non all’altezza. Ma una media-piccola attività no. Non può permettersi di snobbare la selezione e la formazione adeguata dei suoi dipendenti.
Ti dirò di più: per le piccole attività, lo staff è un’arma a favore, un ottimo strumento di coinvolgimento e fidelizzazione del cliente.
Ti faccio un esempio per rimanere in tema negozi di tecnologia: nella mia città natale, Velletri, da pochi anni ha aperto Unieuro. Eppure, ci sono diversi “vecchi” negozi di computer che ancora lavorano benissimo: questo perché sono stati bravi a costruire nel tempo un rapporto di fiducia con i clienti.
Ad esempio forniscono un’assistenza continua, informale e umana che le grandi catene non applicano. Un rapporto negoziante – cliente rimasto umano e irrinunciabile.
Lo staff è davvero una parte fondamentale del tuo marketing: prestaci attenzione e rifletti se c’è qualcosa che dovrebbe essere corretto o potrebbe essere migliorato. Come farlo?
Immedesimati nei panni di un tuo cliente e pensa al tipo di esperienza che solitamente gli offri. Vivi tutte le fasi come fossi lui: fila tutto liscio? O c’è qualcosa che in effetti non quadra?
Un altro modo molto efficace è questo: prepara dei questionari da far riempire ai tuoi clienti in forma anonima, così che siano liberi e sinceri nel rispondere. Chiedi loro cosa amano, cosa cambierebbero, cosa detestano. E il gioco è fatto. I risultati potrebbero essere sorprendenti e dare un impulso fortissimo ai tuoi affari.
Che dire, mi auguro con tutto il cuore di averti fatto riflettere su un punto saliente del tuo business: il tuo brand deve essere coerente in ogni occasione comunicativa, per non risultare falso o irriconoscibile. Bene, per questa volta è davvero tutto. Se hai dubbi e domande non esitare a lasciare un commento qui sotto.
Alla prossima,
Ale.
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